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LA MAGIA DEL LEAN THINKING E' NELL'ANALISI DEL PROBLEMA (tradotto da Michael Ballé)

“C’è un errore di percezione,” scrive Nate Furuta nel suo nuovo libro Welcome Problems, Find Success, “secondo il quale tutti in Toyota ‘capiscono subito,’ ossia che quando entriamo nel nostro ruolo, (che sia operatore di linea o vice presidente), siamo automaticamente impregnati della cultura Toyota e capaci di afferrare le filosofie Toyota, i concetti, gli strumenti e le tecniche. Non c’è nulla di più lontano dalla realtà. Ognuno, all’interno di Toyota, ha dovuto lavorare per sviluppare e sostenere una mentalità “problem finding/ kaizen”, ed è il management che deve assicurarsi che ciò accada, fornire il coaching, il mentoring, la motivazione e il sistema per portare avanti una tale mentalità”.

Per un appassionato lean, questa affermazione scuote e sfida al tempo stesso a vari livelli. La scienza sull’apprendimento degli adulti, in realtà, solo di recente ha colmato il gap con la tradizionale pratica Toyota. Oggi noi sappiamo che gli adulti apprendono attraverso la risoluzione di problemi difficili – esplorare il problema piuttosto che ripetere una soluzione nota. Questo comporta:

  1. Ricerca dei problemi – ossia esplorare lo spazio del problema ed elaborare una propria comprensione ingenua attraverso i fatti e gli esperimenti concreti. Trovare i problemi  richiede sviluppare una consapevolezza dei problemi, anche in quelle situazioni che sembrano banali e ricorrenti. Riguarda molto la capacità di vedere quello che non c'è, oltre a quello che c'è. Perché aspettiamo? Perché dobbiamo fare questa cosa un'altra volta? Che cos'è che non ci soddisfa in quello che abbiamo appena fatto?
  2. Coinvolgimento del team – supportare il team a costruire una visione concreta di ciò che vuole fare e, in questo modo, sostenere l’interesse di un individuo a risolvere un certo problema. Confrontarsi con problemi difficili (ad esempio, problemi che non hanno una ovvia soluzione) è dura, e si riesce a fare meglio se si è parte di un team che dà il sentimento che ciò che si tenta di fare è importante, che ne vale la pena.
  3. Apprendimento auto-diretto - il vero momento magico, tuttavia, non accade in squadra, ma quando si è da soli, quando la persona apre un libro, parla a un esperto, cerca di fare qualcosa di nuovo, in pratica esce fuori dal proprio seminato, di propria volontà, per imparare. Questo è il momento in cui si apprende. Non importa quanto “social engineering” versi dentro l'organizzazione, niente accade fino a quando gli individui non si prendono in mano ed esplorano. Da soli. E imparano attraverso un allenamento deliberato.
  4. Sostegno e mentoring - l'unico modo per accelerare l'apprendimento è moltiplicare le occasioni di apprendimento. La cultura e l'organizzazione sono importanti perché apprendere è molto più facile se 1) è chiara la visione complessiva di quello che vogliamo raggiungere, 2) Le opportunità di apprendimento sono strutturate e fanno parte del quotidiano, 3) ci sono metodi di analisi per aiutare ad esplorare i problemi , e 4) si è circondati da mentori che non ti danno una risposta (l’apprendimento ha necessità di essere auto-diretto) ma che possono monitorare i vostri miglioramenti e indirizzarvi verso piste di esplorazione che non avevate individuato.

Quando per la prima volta ho studiato in che modo Toyota insegnava ai propri fornitori come pensare con il Toyota way, il sensei indicava un problema, ad esempio che la macchina faceva pezzi difettosi (idealmente in una cultura che ricerca i problemi, le persone dovrebbero occuparsi di questo autonomamente), e poi:

  1. Chiedeva di disegnare il processo in dettaglio, e spiegare che cosa sarebbe dovuto accadere;
  2. Identificare i possibili fattori che potrebbero creare un difetto (come se il processo fosse pensato apposta per fare pezzi difettosi);
  3. Testarli uno per uno (il che richiedeva spesso di inventare dei metodi di test);
  4. Fino a che non si poteva spiegare in modo convincente cosa stava davvero accadendo – spesso qualcosa a cui non si era in grado di pensare in prima battuta;
  5. E solo a questo punto, proporre una ipotesi di soluzione.

Per qualche motivo, mio padre, che a quell'epoca era Industrial Vice President di un fornitore Toyota, si convinse di quella che chiamò “hypothesis testing” e lavorò alacremente per tenere a freno l'istinto delle persone di provare la prima idea che gli veniva in mente, senza prima aver chiarito il problema. Avendo visitato le fabbriche Toyota nella metà degli anni 70, egli, (con difficoltà e dopo molti tentativi) comprese quello che Nate Furuta spiega attraverso il suo libro: la magia è nella comprensione del problema, non nell'applicazione delle soluzioni.

Come funziona il ragionamento

Nel corso degli anni, mi è capitato spesso di chiedere se i primi ingegneri Toyota avessero un qualche interesse nella psicologia che gli permise di sviluppare un tale approccio, e la risposta è sempre stata “NO”. I pionieri come Eiji Toyoda e Taiichi Ohno, volevano disperatamente migliorare qualità e produttività per garantire l'indipendenza di Toyota, consapevoli che nei primi anni 50 le aziende automobilistiche erano vulnerabili e potevano essere acquistate da una delle “Big Three” del tempo. Questi, in qualche modo, conclusero che fare in modo che le persone pensassero e, per di più, che pensassero assieme, era un elemento chiave di successo. Essi scommisero – correttamente – che dare alle persone dei problemi da risolvere senza fornire loro le soluzioni era il modo migliore per accelerare la loro riflessione.

Fu un’intuizione brillante. Noi oggi sappiamo dagli esperimenti di psicologia cognitiva che il ragionamento si fonda essenzialmente su tre competenze chiave: pensare logicamente, immaginare imprevisti, e testare vincoli.

  • Pensare logicamente vuol dire creare dei modelli causa-effetto che descrivono la situazione. Innanzitutto, occorre selezionare le variabili principali, che non è cosa semplice, e poi chiarire i legami tra queste variabili in termini di “se x cambia in questo modo, y cambia in quest'altro modo”. Una difficoltà fondamentale nell’uso del pensiero logico, è la nostra tendenza a selezionare automaticamente le variabili che ci sono familiari – ossia cerchiamo la chiave perduta sotto il lampione perché è il posto in cui c'è la luce, per così dire. Pensare logicamente, in concreto, vuol dire allargare la rete, vuol dire considerare una lista più lunga di variabili ambientali che possono impattare il risultato.
  • Immaginare imprevisti è pensare “e se…”. Pensare “e se…” vuol dire giocare con i nostri modelli mentali logici, e chiedersi cosa accadrebbe se le cose non stessero come immaginiamo, e inventare scenari che crediamo essere irreali o improbabili, ma che potrebbero essere veri. Si tratta di un esplorazione mentale nella sua forma più pura, qualcosa che la mente fa senza sforzo quando è preoccupata. Il trucco qui è innescare il meccanismo in modo deliberato, cambiando una variabile o un'altra e immaginando come starebbero le cose.
  • Testare vincoli accade quando, nel giocare con i possibili imprevisti, il vostro cervello si ribella e vi dice “questo non è possibile!”, oppure “non fare questo, è troppo doloroso emotivamente!”, o ancora “stai perdendo tempo, questo non accadrà mai”, eccetera. Con un certo grado di auto-consapevolezza, si impara che ognuno di questi blocchi mentali rivela un vincolo, ossia un solido paradigma attraverso cui osserviamo la realtà: sfidare questi paradigmi è la fonte più comune di creatività. È un vincolo reale, oppure è immaginario? Da cosa è vincolato? C’è un modo per aggirarlo? Cosa accade se, semplicemente, lo ignoriamo? E così via. E poi provare – quali sono i fatti? Cosa mostrano gli esperimenti?

Pensare logicamente, immaginare imprevisti e testare vincoli sono esattamente le competenze che i sensei di una volta chiedevano agli ingegneri. Questo, tuttavia, non era una cosa facile. A quel tempo, le persone sentivano che non avevano tempo per indulgere in una così dolorosa e dettagliata esplorazione. Avevano bisogno di produrre risultati immediatamente, e dovevano essere spinti e/o coccolati per prendere il tempo di studiare i problemi e non saltare alle conclusioni. La maggior parte della prima letteratura Lean, descrive i sensei che insegnano a riflettere, riflettere, riflettere per smorzare l’impulso degli ingegneri a saltare alle conclusioni.

Il lato negativo delle soluzioni rapide, da un punto di vista cognitivo, è che naturalmente non si impara nulla. Se tu senti o leggi di una soluzione, la provi sul tuo problema e vai avanti (ma, probabilmente, non per molto) l’albero logico della tua conoscenza non è cresciuto di un centimetro. Soprattutto, la tua prospettiva non si è allargata. I novizi conoscono una sola risposta mentre gli esperti ne conoscono molte; i novizi risolvono il problema che hanno di fronte mentre gli esperti mettono sulla bilancia i rischi e i benefici delle possibili soluzioni. Senza un apprendimento auto-diretto e una pratica deliberata, ci imponiamo di pensare come dei novizi … per sempre.

VALORIZZARE IL PENSIERO PROFONDO, NON LE SOLUZIONI SEMPLICI

Devo confessare che sono eccitato dai nuovi libri quali Welcome Problems, Find Success  di Nate Furuta, o The Toyota Way of Dantotsu Radical Quality Improvement di Sadao Nomura. Finalmente, ora che la polvere si è abbassata, ascoltiamo l'esperienza Toyota da chi l'ha vissuta, e che può confermare o meno le nostre ipotesi su che cos'è la Lean. Otteniamo anche diverse prospettive individuali che arricchiscono la nostra comprensione dei problemi complessi imposti dal Toyota Production System e le multiple prospettive per comprenderli. Non si tratta di un modello che può essere codificato in un ERP. È un sistema per pensare, che sviluppi per tuo conto, per disegnare le tue proprie personali conclusioni e domande. Questa è l'essenza della mentalità kaizen: continuare a cercare, continuare a chiedere, continuare a riflettere.

Ma temo un fatto. Creare una cultura lean (che non è mai stato facile), potrebbe essere più difficile per la semplicità che c’è oggi di cercare soluzioni pronte per l'uso nel proprio smartphone, e che rendono il pensiero profondo in qualche modo desueto. Ho visto degli ingegneri di product design trasformarsi progressivamente in acquisitori di soluzioni da assemblare sul loro CAD. Ora, nello sviluppo software, l'idea prevalente sembra essere “dallo al service web Amazon, faranno meglio di quello che tu potrai mai fare” (probabilmente è vero). Il vantaggio, è la velocità e la riduzione dello sforzo, lo svantaggio è un apprendimento più lento, minore conoscenza e quindi più problemi e crisi futuri, che emergeranno a mano a mano che le persone perderanno la loro capacità di riflettere.

La mia intenzione non è quella di predicare futuri disastri. E certamente non dico che “era meglio prima”. Io credo, tuttavia, che per raccogliere tutti i benefici del sistema di apprendimento Lean che conosciamo in dettaglio, sia in termini di strumenti (grazie ai libri pubblicati negli ultimi due anni) che di spirito e principi, abbiamo bisogno di mettere in valore il pensiero stesso.  Pensare logicamente, immaginare imprevisti e testare vincoli richiede spazio mentale e self confidence. Sono costosi in termini di energia mentale, e quindi naturalmente eviteremo queste attività, a meno di farlo in modo deliberato, con un chiaro obiettivo che giustifichi un tale sforzo.

Come per la maggior parte delle cose umane, quando smetti di comprenderle, le perdi. Credo che dovremmo riprendere a ragionare sul posto che occupa il pensiero profondo nella Lean – cosa vuol dire? A cosa serve? Come ottenerlo? Questa era la missione originaria dei sensei originari, e ai loro occhi i benefici erano evidenti. Ora, proprio quando infinite soluzioni preconfezionate sono a portata di mano, credo sia giunto il momento di valorizzare in modo più esplicito il pensiero e iniziare a sfidare nuovamente lo status quo mentale in modo diretto, come una volta facevano i sensei.

Articolo originale di Michael Ballé