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Società Benefit e responsabilità sociale

In un recente articolo, il Sole 24 Ore commenta la forte crescita delle società Benefit, raddoppiate in numero nell’ultimo anno, e cita il successo di altre forme di certificazione della responsabilità sociale – tipo B Corp.

Questo sviluppo è considerato – dal giornale e, in genere, sui social – come la prova di una crescita del senso di responsabilità sociale. La recente certificazione di Eni, Gas & Luce, in particolare, è considerata segno di un trend di responsabilizzazione inarrestabile.

La mia idea è diversa.

Il focus sulla responsabilità sociale è sacrosanto, ed è bene che sia possibile una forma di società “Benefit”.

Al tempo stesso proprio la velocità di questa crescita e, in particolare, la scelta proprio di Eni, Gas & Luce di aggiornare il proprio statuto sociale in società Benefit, mi fanno sospettare che, come scrisse Tomasi di Lampedusa, è in corso un noto processo: quello per il quale bisogna cambiare tutto per non cambiare niente. 

E vi spiego perché.

Eni, un’azienda che come poche altre ha contribuito allo sviluppo dell’Italia del dopoguerra, ha incarnato profondamente la responsabilità sociale. Sotto la guida di Enrico Mattei, l’Eni ha garantito (ad esempio) alloggio e istruzione alle famiglie dei collaboratori, e ha tentato di sottrarre l’Italia alle lobby del petrolio.

L’Eni oggi, invece, è criticata in modo aspro per la sua scarsa responsabilità sociale. Associazioni come Greenpeace, non immune da critiche come tutte le organizzazioni umane, ma che più di altre merita ascolto, la accusano apertamente di greenwashing.

Il greenwashing è un po' come coprire la vista di una discarica abusiva con un grande telone: foto di  alberi, prati e graziosi animali, posta davanti a liquami e fetore.

Per Greenpeace, ENI (come altre aziende) approfitta del sistema di certificazione REDD+ (Reducing Emissions from Deforestation and forest Degradation in developping countries).

Il sistema REDD+ funziona così. Se tu partecipi a progetti per evitare la deforestazione nei paesi in via di sviluppo, ricevi dei certificati che ti consentono di neutralizzare le tue emissioni di CO2. In pratica: puoi bruciare carbone, petrolio e gas, ma figurare come se facessi solo dell’eolico.

Provo a trasformare matematicamente il concetto. Poiché "fossili" ha valore negativo, allora possiamo dire che: 

+ foreste + fossili = 0

Perfetto!

Ma scriviamo meglio la formula. Perché noi partiamo con una dotazione di foreste che evitiamo di distruggere (- foreste). L’equazione, diventa questa:

- foreste + foreste + fossili =0

Semplifichiamo, resta :

+ fossili = 0

L’equazione è sbagliata. Se si brucia carbone e le foreste restano intatte, bottom line, aumenta la CO2. E' greenwashing. 

(D’altra parte, le estrazioni petrolifere e gas di Eni sono previste in crescita almeno per i prossimi 4 anni. Lasciamo stare che poi non è tracciata la reale protezione delle foreste: le aziende si impegnano semplicemente a finanziare i progetti, non a condurli efficacemente a termine).

 

Ricordate dai libri di filosofia la relazione tra forma e sostanza? Ecco. È la stessa che esiste tra statuto di società Benefit e responsabilità aziendale.

Nella storia umana, la più grande confusione tra forma e sostanza è la confusione tra religione e spiritualità. Per secoli, chi non aderiva ai precetti religiosi (forma) poteva anche essere condannato – o arso vivo. Non importava che un individuo si esercitasse autenticamente alla bontà, al perdono, alla relazione intima con Dio (sostanza). Se c’erano dei bambini figli di selvaggi nord americani, valeva la pena strapparli alle loro famiglie, convertirli e ucciderli se necessario.

Basta questo a dire che ogni religione (forma) è inutile o nociva per coltivare il sacro (sostanza)?

No, naturalmente. Qualsiasi forma autentica è nata da grandi praticanti della sostanza. Ogni forma autentica crea mille occasioni per ricordare la sostanza. I 10 comandamenti ammoniscono di non giurare su cose false, ricordano di fare del bene quando non sei impegnato a lavorare, o sottolineano che il desiderio e l’invidia ci rendono schiavi. Non è forse un superbo modo per indirizzarci verso la sostanza?

L’arte nelle chiese (forma) non indica forse la sostanza spirituale attraverso la bellezza? I riti e i sacramenti (forma) non sono forse un’occasione per ricordare regolarmente che c’è una relazione spirituale da coltivare (sostanza)?

“Quindi”, si conclude erroneamente, “per seguire la sostanza devi seguire la forma, anzi, questa forma!”. Ecco: l’obiettivo diventa quella forma. La garanzia diventa quella forma. E in nome di quella forma, puoi tradire la sostanza.

“Forma è sostanza”. Ecco dove si arriva. Una correlazione banale e sbagliata, replicata  in mille e mille modi. Prendiamo due esempi nelle aziende.

 

Se hai un’azienda, a volte hai la necessità di certificazione di qualità tipo “ISO”, se vuoi trovare clienti. 

Possiamo dire che la certificazione ISO (forma) sia una sciocchezza? No! Le pratiche previste sono eccellenti, e le intenzioni di alcuni certificatori sono ancora migliori.

Possiamo dire che un’azienda certificata ISO è più attenta alla qualità di un’altra? Neppure questo è vero! Le aziende che conosco, dopo una certificazione, non modificano il proprio livello di attenzione alla qualità. Modificano le loro pratiche, sicuro, ma non migliorano la loro qualità.

Al solito la realtà è complessa, e può essere espressa solo attraverso dei paradossi: due affermazioni, ciascuna vera, ma contraddittorie tra loro.

L’alto numero di aziende certificate ISO non implicano una maggior qualità. E, al tempo stesso, la certificazione ISO è importante (come, in una dimensione del tutto diversa, per la preservazione della spiritualità, sono fondamentali le religioni).

 

Un altro esempio. Sempre nelle aziende, lo stesso discorso vale per la Lean. La presenza di un “programma Lean” in azienda non implica né maggior attenzione al cliente, né maggior beneficio per i collaboratori, né migliori risultati. E, al tempo stesso, la Lean è fondamentale per tutto questo (tanto che la mia vita professionale e ciò che credo essere giusto per le aziende, ruota attorno al Lean thinking).

 

Eccoci dunque alle mie considerazioni sul proliferare delle società Benefit, e delle certificazioni connesse. Questa forma non ci dice nulla rispetto alla sostanza, che è il livello di responsabilità verso la società e verso l’ambiente delle aziende coinvolte.

Tale senso di responsabilità, come qualsiasi dimensione etica (che è una tipologia di sostanza), si coltiva solo persona per persona. Non struttura per struttura. Non regola per regola, certificata e controllata. Non è una dimensione meccanica, ma organica.

Per tutte le ragioni illustrate sopra, io saluto con gioia l’esistenza di una forma societaria “Benefit”. Ma, contrariamente a quanto si legge, non saluto un così rapido sviluppo come la prova di un cambio della sostanza nel mondo aziendale: perché nelle culture aziendali e dei top manager, da troppo tempo si lavora quasi esclusivamente per i risultati finanziari e per il successo personale. Da troppo tempo tutto il resto è solo decorazione, funzionale a successo e risultati.

Lo sviluppo di questa forma societaria è troppo rapido, alla luce dell’inerzia della mentalità umana; e il fatto che una delle prime grandi società Benefit faccia parte proprio del Gruppo Eni, (troppo criticata in modo documentato perché non ci sia nulla di vero), non fa che rafforzare il mio dubbio.

No. Una tale rapidità e un tale esempio mi inducono a credere che, ancora una volta, si afferma quell’equivalenza perniciosa cui sempre siamo tentati di credere. Che “forma è sostanza”. 

 

 Photo by Life Of Pix from Pexels