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Nash, il Lean Thinking e la fiducia in azienda

Fino a uno o due decenni fa, se parlavi di fiducia nelle organizzazioni venivi guardato come chi crede a Babbo Natale: lascia stare le favole, nella vita vera ci vogliono premi, punizioni, controlli.

Nel frattempo ci sono stati studi ed esperimenti che hanno chiarito come la fiducia nelle organizzazioni sia un elemento cruciale della produttività. Basta scorrere LinkedIn: immagini, articoli, ricerche commentate e likate ad libitum.

Eppure in tutte queste immagini, articoli, ricerche riportate e commentate, c’è un tono di amarezza sottostante, uno sfondo da musica blues. Si percepisce che, chi scrive, scuote la testa, punta i pugni sui fianchi e guarda con occhi sconsolati: perché se ci sono tanti studi, ebbene perché le cose non cambiano?

La mia risposta è questa: perché non si è capito il Lean Thinking.

La prova più sicura che le cose non sono cambiate è sempre su LinkedIn. Un numero enorme di aziende sbandiera una certificazione, un successo, un’azione che prova la fiducia ottenuta dai collaboratori. Immagini di collaboratori felici e cartoncini virtuali lo testimoniano.

Ma quando ci affrettiamo a sbandierare qualcosa, accade che generalmente non ce l’abbiamo. Perché, infatti, non si sbandiera l’affidabilità finanziaria, l’affidabilità del prodotto? Perché non si scrive “la nostra azienda paga puntualmente i suoi collaboratori ogni fine del mese!”?. Perché è assodato. Sicuro.

Ma la fiducia dei collaboratori, quella no. Quella va sbandierata, perché è incerta.

Rispetto a dieci o venti anni fa, ora abbiamo informazioni scientifiche sulla fiducia (e su tutti gli elementi che la richiedono come presupposto, quali la soddisfazione, la motivazione, la felicità, il senso di realizzazione dei collaboratori). Ad esempio, c’è la prova provata di una correlazione tra produttività e fiducia, tra qualità e fiducia, tra fedeltà dei clienti e fiducia. Numeri che piovono da tutte le parti, come a volere rendere giustizia (tardiva) a tutti coloro che “credevano a Babbo Natale”.

Perché è così? Perché se la fiducia è importante, e se genera pure reddito, e felicità, allora non si ottiene?

Una risposta interessante si trova nella Teoria dei Giochi.

Nel 1950 John Nash, allora dottorando a Princeton, dimostra che esiste sempre una situazione di equilibrio che si ottiene quando ciascun individuo, che partecipa a un dato gioco, sceglie la sua mossa strategica in modo da massimizzare il proprio payoff.

È il famoso dilemma del prigioniero. Le possibili scelte per due prigionieri in celle diverse non comunicanti sono parlare (e ammettere il delitto, del quale non ci sono prove sufficienti) o non parlare.

  • Se entrambi non parlano avranno una pena leggera (1 anno);
  • Se entrambi parlano, accusandosi a vicenda, avranno una pena pesante (10 anni);
  • Se fanno scelte diverse tra loro, quello che parla avrà la libertà (0 anni) e l'altro avrà una pena più pesante (20 anni).

Se entrambi conoscono queste regole e non prendono accordi, la scelta che corrisponde all'equilibrio di Nash è di parlare, per entrambi. Infatti il prigioniero A si dirà: “se B parla, allora mi conviene parlare, altrimenti mi faccio 20 anni di galera. E se B non parla, anche in questo caso mi conviene parlare, così mi scampo la galera”. B farà lo stesso ragionamento. È così che entrambi parlano, ed è così che la soluzione ottenuta (10 anni di galera a testa) non è la soluzione migliore (1 anno di galera a testa).

Parafrasando il noto dilemma, mi sembra questo: che esiste, per ogni prigioniero, l’opzione di fidarsi o non fidarsi dell’altro.

 

Prendiamo ora un’azienda, in cui c’è un problema alla frontiera tra due strutture che ha provocato grossi danni ad un cliente. Se entrambe i manager ammettono di averne una parte di responsabilità, la Direzione Aziendale registrerà (mentalmente) un punteggio negativo per ciascuno dei due nel loro percorso di carriera. Diciamo (-1 ; -1). Se uno ammette la propria responsabilità e l’altro no, allora chi ha ammesso il torto avrà un punteggio negativo per la propria carriera pari a (-20), mentre l’altro non avrà impatti (0). Se entrambi non ammettono la propria responsabilità (ed accusano l’altro), allora saremo nell’equilibrio di Nash (entrambe -10, e tanto odio per l'altro).

Altro esempio. Un collaboratore si trova di fronte a un problema di produzione. Può scegliere di comunicarlo al proprio manager (e fidarsi), oppure nasconderlo. Rispetto a questo problema, il manager può prenderne la responsabilità (fidarsi) oppure scaricarla sul collaboratore (non fidarsi). Se il manager decide di non fidarsi, allora la sua competenza non sarà in dubbio (0), mentre la colpa sarà tutta del collaboratore (-20). Sapendo questo, cosa farà il collaboratore? Gli conviene mostrare il problema? L’equilibrio di Nash è quello di nascondere il problema.

Un collaboratore vede un problema di produzione, e può fare due cose: cercare di cambiare (e fidarsi), oppure lasciar correre (e non fidarsi). Se egli cerca di cambiarlo, allora si assume un rischio di riuscire o fallire. Se fallisce, cosa accade? Il suo manager potrà assumersi la responsabilità della riduzione di produttività (e fidarsi), oppure scaricarla sul collaboratore. L’equilibrio maledetto di Nash è simile a quello del gioco precedente.

E se il collaboratore riesce a migliorare? Il suo manager potrà darne merito al collaboratore, o assumersene il merito. Il dilemma del prigioniero assumerebbe numeri positivi piuttosto che negativi, ma la soluzione sarebbe sempre la stessa: per ciascuno è meglio non fidarsi.

 

Non fidarsi è la scelta più razionale del singolo individuo. Ma, ci dice la teoria, questo non avviene nella realtà, nelle relazioni continue. Perché tutti sanno che il giorno dopo quelle persone continueranno a vedersi.

E invece, per me, è vero l'esatto contrario contrario.

Mentre quando si fa il gioco in aula la maggior parte dei presenti tende a fidarsi, nella realtà aziendale no. Dimostrando così, come diceva De André, "la differenza tra idea e azione". E' quando le persone in azienda "camminano raso i muri", o tendono a “pararsi”. Se passi molto tempo a precisare il modo in cui scrivi le email, e se sei spesso in copia conoscenza di mail che non ti riguardano, probabilmente avviene proprio nella tua azienda.

Infatti, un altro fattore gioca contro. Si chiama “Loss Adversion”, ed è un errore percettivo umano studiato dal premio Nobel Daniel Kahneman. Che corrisponde semplicemente a questo: siamo molto, molto, molto più sensibili alle perdite che non ai guadagni.

Se quindi, nel “dilemma della fiducia in azienda”, perdiamo ad una partita (e collezioniamo -20 punti, mentre l’altro “prigioniero” la fa franca) , avremo un’immensa spinta a smettere di fidarci. E se noi smettiamo di fidarci, allora con lo stesso meccanismo diffonderemo con una velocità crescente la sfiducia nel sistema – azienda. E la gente comincerà a camminare raso ai muri – appunto.

 

Ecco la posizione dalla quale opera il Lean Thinking. L’obiettivo non è quello di snellire i processi, ma di creare team autonomi nello snellimento dei processi, con un team leader che crede che i propri collaboratori siano capaci di gestire autonomamente il proprio ambiente, fiduciosi e proattivi nelle proprie capacità di risolvere i problemi.

Il Lean Thinking è una metodologia di sviluppo delle persone attraverso il miglioramento dei processi, e di sviluppo delle relazioni attraverso l’allenamento quotidiano alla risoluzione dei problemi.

Per essere battuto, il maledetto equilibrio di Nash richiede un esercizio costante. È come educare un bambino: non puoi farlo con un evento al mese. La fiducia va sviluppata nel continuo, soprattutto nelle azioni di risoluzione dei problemi e di sviluppo del valore, che come abbiamo visto sono soggette alla Loss Adversion e all’equilibrio egoistico.

Si tratta di una competenza manageriale, non solo una scelta dell’alta Direzione fissata su carta bollata. Il committment dell’azienda deve essere all’allenamento quotidiano, non agli eventi in cui si urla l’uguaglianza di genere e la fiducia reciproca, e tanto meno alla sola comunicazione - tra l'altro, su LinkedIn.

 Il Lean Thinking offre principi e strumenti soprattutto per questo allenamento quotidiano. Solo che, come Cassandra, nessuno ci crede.