Vi siete mai chiesti qual è lo spreco più grande? Quello che, se fosse eliminato, permetterebbe davvero un cambio di marcia alle aziende e alla vostra vita?
Chiaramente non può essere uno dei 7 muda, perché quelli sono frazionati e, in gran parte, conseguenza di altre cause di spreco. Ad esempio, conseguono dalla variabilità (mura) e dal sovraccarico (mura).
Ma c’è altro. Ad esempio, c’è “l’ottavo spreco”, le competenze mal impiegate: l’incapacità dell’azienda di mettere a frutto le competenze e l’energia di tutti i propri collaboratori.
Eppure, io credo che c’è un altro spreco, ancora maggiore. Non si trova ancora nei libri aziendali, ma ce lo indica la psicologia e, credo, dovremmo considerarlo.
Io, lo chiamo lo “spreco transazionale”.
I 7 sprechi sono tutti osservabili ed è questa la loro potenza. Hanno un impatto diretto sul valore, e per ottenere un miglioramento, non c’è scampo: devo eroderli.
È una relazione matematica che – personalmente – scriverei in questo modo:
Valore = risorse – sprechi (muda)
Al tempo stesso, i 7 sprechi sono connessi a sprechi più vasti che, progressivamente, si allontanano dal concreto.
Non c’è nulla di nuovo sotto al sole: le discipline orientali, ma anche la psicologia e la filosofia, ci dicono che la realtà ha più livelli. Prendiamo una possibile classificazione (tra le tante):
- Livello fatto di materia (il nostro corpo e gli oggetti attorno)
- Livello fatto di energia (ciò che muove la materia)
- Livello mentale (i pensieri, le emozioni, le capacità analitiche e l’attenzione)
- Livello morale (che contiene i set di valori teorici ed agiti)
Per quale motivo gli sprechi dovrebbero sfuggire a questa condizione, vera per l’intera Realtà? Anche loro devono appartenere a diversi livelli.
Se seguo questo ragionamento, allora i muda (gli errori, gli stock, le attese, l’overprocessing, la sovrapproduzione, il movimento e il trasporto) appartengono al "livello fatto di materia".
Variabilità e sovraccarico, invece, corrispondono al "livello fatto di energia": c'è variazione dei flussi, o c'è un eccesso di flusso da sopportare.
Gli sprechi mentali, poco esplorati, sono ancora più ampi e corrispondono alla “dispersione dell’attenzione umana”. È intuitivo, credo, come essi incidano su variabilità e sovraccarico e, naturalmente, sugli sprechi del livello fatto di materia. A questo livello si trova lo "spreco delle competenze mal impiegate", ma anche gli sprechi legati al multitasking, alle interruzioni, ai compiti non chiari, ed altri ancora. Sono tutti sprechi di livello mentale.
Lo spreco di cui parlo, ossia lo “spreco transazionale”, appartiene invece al “livello morale”. Vediamo di cosa si tratta.
Eric Berne, fondatore dell’Analisi Transazionale, ci dice che ogni tanto la gente muta atteggiamenti e punti di vista, perché assume via via diversi stati dell’io. Berne li definisce “fenomenologicamente come un sistema coerente di sentimenti, ed operativamente come un insieme di tipi di comportamento concreti” (“A che gioco giochiamo”, E. Berne).
In pratica: dentro di noi ci sono più “io”, ciascuno con un coerente sistema di comportamenti e di valori: ce lo dice la scienza. Gli stati dell’io sono nel “livello morale” della nostra classificazione perché non si tratta di singoli pensieri, ragionamenti o emozioni, ma del sistema che genera quei pensieri, quei ragionamenti e quelle emozioni. Berne (come altri) ci dice che dentro ciascuno di noi ci sono più sistemi. Per Berne (semplifico un po') esistono due macro-classi che contengono questi sistemi di livello dell’io: lo stato “adulto” e lo stato “non adulto”.
Lo spreco transazionale avviene quando investiamo tempo ed energie in relazioni in cui dominano gli stati “non adulti”.
Un allievo di Berne, Stephen Karpman, ha identificato possibili “ruoli” per gli stati adulti e non adulti. E nella sua ricerca di una vita, ha provato che le relazioni tendono a polarizzarsi attorno a giochi di ruoli non adulti (più spesso) oppure adulti (meno spesso).
Nel primo caso, in una relazione tra due o più persone si trovano i ruoli della vittima (che vuol essere compatita), del carnefice (che vuol essere temuto) e del salvatore (che desidera essere riconosciuto come moralmente superiore). Nel secondo caso, ci sono i ruoli del vulnerabile (che assume la condizione umana), del potere (che cerca di incidere con responsabilità) e dell’aiuto (che offre un supporto competente per facilitare l’autonomia dell’altro).
E questa è la mia conclusione: nelle relazioni tra stati dell’io “non adulti”, qualsiasi investimento di tempo e di energie è uno spreco.
In queste relazioni c’è un totale disinteresse per il contesto (e quindi per il cliente, per il risultato aziendale, per il benessere e anche per la sicurezza fisica) se non in modo strumentale al “gioco” che si gioca. Il miglioramento avviene, ma ad un costo esorbitante, e con alta probabilità di retrocedere alla situazione precedente.
La resistenza al cambiamento, letta in questa chiave, è semplicemente un epifenomeno tipico di queste relazioni.
Nelle relazioni tra stati dell’io “adulti”, invece, il focus è sul contesto. Si è disposti a scambiare idee e a mettere in discussione le proprie perché si vuol far crescere la relazione. La resistenza al cambiamento quasi non ha luogo perché si è trascinati nell’entusiasmo di crescere e sperimentare. Non avete anche voi (rari) esempi in cui la resistenza al cambiamento è travolta dal desiderio di cambiamento?
Quello transazionale, è lo spreco più lontano dal livello materiale. Non dobbiamo dimenticare che, in azienda, i muda sono quelli che ci interessano: solo loro incidono sul valore (come dice la formula scritta in apertura). Al tempo stesso, lo spreco transazionale è anche quello con più vaste e importanti ricadute: sulla capacità di concentrarsi, su variabilità e sovraccarico, e quindi sui muda.
Paradossalmente, è anche uno spreco su cui possiamo incidere, individualmente. È possibile sviluppare una competenza per riconoscere le situazioni ambigue (ossia le relazioni non adulte) e cercare (nei limiti del possibile) di non esserne coinvolti. Fare un passo laterale per non essere presi nel gorgo (quanto meno: non in modo inconsapevole). Farlo è una competenza che si può allenare, che si può avvalere di tecniche.
In pratica, esercitarsi a ridurre lo spreco transazionale vuol dire identificare attorno a sé quelle relazioni (quei team, quei capi, quei colleghi, quelle aree dell’azienda) in cui c’è un orientamento a scambiare e a crescere, per investire là energie e tempo. Vuol dire che se potete evitare un progetto di miglioramento là dove prevale il lamento, o la pretesa (ad esempio), dovete farlo o colluderete con quel gioco. E vuol anche dire fare (laddove possibile) le scelte individuali difficili di interrompere certi giochi (presumibilmente in tutti i ruoli, a rotazione).
Ora, provo a scorrere la mia vita professionale e a calcolare tutta l’energia e il tempo per quegli interventi fatti laddove emergeva il concetto che non si poteva far nulla (vittima), o che già si faceva già tutto (soccorritore), o che qualsiasi cosa proponi ti sbagli (carnefice); poi tutto il tempo passato in relazioni che mi provocavano, che cercavano il mio soccorso o i cui mi sentivo vittima impotente; poi tutte le energie dedicate a guerre tra team l’un contro l’altro armati, come estensioni di quegli stessi giochi tra capi.
La somma del tempo è assordante. E a voi, quanto fa questa somma?
Non che, spesso, si possa far diversamente: nei sistemi-azienda, talvolta siamo obbligati a giocare quei giochi. Ma non sempre. Soprattutto, tra farlo in modo consapevole e inconsapevole, corre la stessa differenza che c’è tra la disperazione che guarda un abisso e la disperazione che guarda una stella (come dice V. Hugo nei Miserabili).
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