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Management: l'arte dimenticata

I manager sono importanti. Senza manager gli sprechi prenderebbero il sopravvento, l’immobilismo dilagherebbe. Se gli operatori aggiungono valore per il cliente, i manager si assicurano che siano nelle condizioni di farlo. Vanno ringraziati per questo.

Certo, molti sono solo interessati al tornaconto personale, ma sono di più quelli vogliono far bene. Peccato, però, che siano spesso abbandonati a loro stessi.

Anche tu sei un manager e ti senti abbandonato?  Ti pare che l'azienda in cui lavori ragioni in modo assurdo? Questo blog ti può interessare. 

Partiamo da lontano. Prendiamo in considerazione due ottimi pittori. È forse possibile stabilire chi dei due faccia quadri più belli? L’oggetto artistico non è valutabile su una scala di misura. Eppure, (e questo è paradossale), se c’è un bravo pittore e uno mediocre, anche un bambino capisce chi è chi.

L’arte è quel sistema articolato di competenze che, a fronte di una realtà complessa, è capace di agire in modo creativo grazie alla padronanza di tecniche di base. È necessaria “arte” ogni volta che si interagisce con un sistema complesso.[1]

Il management è un’arte per eccellenza. Ha a che fare con singoli individui, con piccoli gruppi e con aggregati sociali ampi. Ha a che fare con cambiamenti di tutti i tipi, imprevedibili e improvvisi. Una stessa azienda può essere gestita in modi diversi eppure tutti buoni. Ma se c’è un bravo manager e uno mediocre, anche un bambino capisce chi è chi.

Non esistono pittori che non abbiano avuto maestri esperti nell’arte del trasmettere. Non esistono pittori che non abbiano trascorso ore ad apprendere i gesti fondamentali, ad esercitarsi. Solo la perfetta capacità di ripetere apre la possibilità della vera creatività.

Non conosco molti manager che abbiano avuto maestri, i quali esplicitamente si sono dedicati ad insegnare loro l'arte. La maggior parte sono stati buttati in acqua e gli è stato chiesto di imparare a nuotare. Perché stupirsi se molti nuotano in modo sgraziato o poco efficace? 

Probabilmente, è la “maturità del settore” che fa la differenza. Le arti plastiche e rappresentative esistono da migliaia di anni. Questo tempo ha consentito il formarsi di un preciso paradigma: che un maestro può svilupparsi solo nel confronto ravvicinato con un altro maestro, perché lo allena alle competenze di base e al loro utilizzo.

Il management (per realtà che siano più grandi di una bottega di artigiano), invece, ha solo due, massimo tre secoli di vita. In questa prospettiva, è evidente che non può esistere la stessa “maturità di settore”. Le aziende sono realtà in fasce della storia dell'umanità: ancora si divincolano nei loro primi stadi evolutivi.

La burocrazia e la concezione meccanica (ruoli, compiti, mansionari, funzioni,…) hanno permesso l’esistenza stessa dell’azienda di dimensioni medie e grandi. Hanno portato grandi tragedie, ad esempio nel corso della rivoluzione industriale, e la ragione del loro successo è anche la causa dei malesseri che ancora oggi producono.

La concezione organica dell’azienda, ad esempio la concezione Lean, è il nuovo livello. Include e trascende i paradigmi meccanici. Tuttavia, questa nuova concezione è stata resa nota solo negli anni ’90: è ancora un infante.

Proprio come un bambino che vede l’assurdo modo di operare di un adulto non ha la forza per contrastarlo, la Lean (quella autentica, con un taglio umanistico) vive solo in alcune esperienze aziendali e nella convinzione di pochi individui. E può sopravvivere solo perché quelle esperienze aziendali hanno risultati sorprendenti: un paragone simile all'efficacia di un fucile rispetto ad arco e frecce.

Il Lean Thinking porta in sé il concetto che l’obiettivo principale di un leader è quello di formare altri leader[2]. E la storia darà ragione a questa evoluzione del modo di interpretare l’azienda: è superiore, più giusta e più efficace.

Un errore che ogni contemporaneo fa, in qualsiasi epoca sia vissuto (che siano i contemporanei dell’Impero Romano, del Basso Medioevo, del Rinascimento e anche del 2021), è quello di percepire con presunzione di essere al culmine dell’evoluzione umana. Di vivere sulle spalle dell’ultimo gigante. L’errore che fanno gli uomini di azienda, spesso con presunzione, è credere che non esista un modo di interpretare l’azienda più evoluto del loro, oggi, nella propria testa. 

Ma l’azienda – quella realtà che oggi influenza più di ogni altra il nostro mondo, e che più di ogni altra ipoteca il nostro futuro – è ai suoi inizi nella Storia. Non dobbiamo guardare, da oggi, la strada che ha fatto: dobbiamo guardare l’oggi dal punto di vista che avremo tra 300 anni. Oggi ci sembrano assurde, ingiuste e inefficaci le condizioni di lavoro del proletariato ottocentesco; allo stesso modo, quando saremo nell’Anno del Signore 2321, giudicheremo come assurdo un management che concepisce la realtà in senso meccanico. Ci sembrerà assurdo che si sia mai potuto confondere un’arte con un mestiere, che il potenziale umano non fosse messo in condizione di fluire, che non ci fosse, in ogni azienda, un coaching sistematico da leader esperti a leader novizi fatto di una serie di pratiche e di esercizi, e che non fosse praticato il miglioramento continuo e il rispetto delle persone e dell’ambiente.

Noi siamo immersi nella storia. In questo secolo viviamo un lungo passaggio tra una visione antiquata ed una possibile dell’azienda. La nuova visione prevarrà, questo è certo. Ma quando? La storia è essa stessa complessa. Le cose possono accadere anche tra secoli - e  sarà necessario arrivarci con un pianeta e una società vive! Rientra quindi nella nostra responsabilità, nella responsabilità di tutti coloro che VEDONO l’assurdità di una concezione dell’azienda volta al profitto e alla carriera individuale, di contribuire a far basculare la storia dalla parte giusta prima.

La mia convinzione è che il maggior contributo, lungo questa nuova frontiera delle idee, è offerto dai manager che ogni giorno sperimentano cosa vuol dire governare un’azienda (o una direzione, o un team) in modo organico, in modo Lean. Sono proprio i manager che, lavorando sulle proprie competenze di base e sul loro utilizzo, ciascuno dalla propria posizione, possono far emergere una cultura nuova, che potrà prevalere. Poi ci si chiederà come fosse possibile pensarla in modo diverso. Questa nuova cultura riparerà i mali prodotti, in attesa di produrne di nuovi, che saranno a loro volta, poi, superati con il al contributo di altri, futuri, manager visionari.

Se sei un manager che si sente abbandonato, esiste la possibilità per te per identificare e allenare le tue competenze. La metodologia Lean offre ampi bagagli, accessibili a tutti, con esempi, strumenti, paradigmi. Puoi migliorarti, poi diventare poi coach di altri manager, e così entrare a far parte di un movimento spontaneo che può cambiare la storia dell’azienda e, quindi, dell’uomo.

 

[1] Viceversa, è necessario un "mestiere" ogni volta che si interagisce con un sistema complicato: con numero di competenze finite che si applicano in casi definiti. È un mestiere ogni lavoro che può (o potrà) essere svolto da un sistema artificiale: per esempio disegni ingegneristici, lavori di montaggio, condurre un mezzo o (certe) programmazioni di software. Spinto oltre un certo limite, qualsiasi mestiere diviene un’arte, ma questa è un’altra cosa.

[2] “We say at Toyota that every leader is a teacher developing the next generation of leaders. This is their most important job” Akio Toyoda, in “The Toyota Way Lean Leadership” di J Liker.

 

Photo by Sharon McCutcheon from Pexels